Operazione San Gennaro ( il Film)
Operazione San Gennaro è un film del 1966 di Dino Risi, con Totò, Nino Manfredi, Senta Bergere, Mario Adorf, Enzo Cannavale, Dante Maggio. Tre americani, e una donna e due uomini, arrivano a Napoli per svaligiare il tesoro di San Gennaro. Chiedono consiglio al boss Don Vincenzo (Totò), che li indirizza ad Armando Girasole, detto Dudù (Nino Manfredi). Il colpo viene effettuato nella notte in cui il “Festival della canzone” monopolizza davanti alla tv gente comune e forze dell’ordine. Tutto sembra filare liscio eccetto un piccolo particolare, ma di grande importanza: i miglior custodi del tesoro sono proprio i napoletani. Le canzoni presentate al festival di Napoli dell’anno cui si riferisce il film (1966) e che è possibile ascoltare come sottofondo in alcune scene sono: Ma pecché, cantata da Iva Zanicchi; Ce vo’ tiempo, cantata da Peppino di Capri; ‘A pizza, è interpretata da Giorgio Gaber, che faceva curiosamente coppia, in quel festival, con Aurelio Fierro. A vincere il festival della canzone napoletana di quell’anno fu Bella, cantata da Sergio Bruni e Robertino, come annunciato con euforia da “Il barone”. Snobbato dalla critica nazionale il film fu premiato per la regia al Festival di Mosca del 1967. Paradossalmente nell’immaginifico popolare il tesoro di San Gennaro, pur rappresentando sette secoli di donazioni di papi, imperatori, regine, re e considerato uno dei più importanti tesori al mondo, è diventato famoso e leggendario grazie anche a questa pellicola, anche se ovviamente i luoghi e i capolavori, ripresi nel film, sono di pura fantasia. Quando infatti Dino Risi ormai novantenne venne al Museo del Tesoro di San Gennaro nel 2006, per presentare alla stampa la versione restaurata del film, confessò che prima delle riprese cinematografiche di Operazione San Gennaro non era mai stato a Napoli
San Gennaro di Lello Esposito
L’opera è stata realizzata nel 2011 dall’artista Lello Esposito che l’ha donata al Tesoro di San Gennaro, perché potesse essere la custode (il piedistallo dell’opera è un piccolo caveau di acciaio corten) delle offerte fatte dai fedeli per la realizzazione di un laboratorio didattico. La raccolta di fondi protetta dalla vigile supervisione del Patrono, vuole essere un richiamo al voto del 1527, fatto a San Gennaro dai cittadini di una Napoli devastata dalla peste. La scultura è stata “fatta di getto, in pochi minuti fissata nell’argilla”, dice Lello Esposito, successivamente riprodotta nella cera e poi plasmata nel bronzo dorato con la tecnica della fusione a cera persa.
San Gennaro e le sue Parenti
di Paolo Jorio
Il lento dondolio della testa accompagnato da un impercettibile movimento del corpo, mani dure, rugose, segnate dalla fatica che improvvisamente si protendono in avanti come nel vano tentativo di raggiungere qualcuno, un canto struggente che ritma la gestualità in un crescendo emozionante.
Le voci si inseguono e riecheggiano tra gli affreschi del Domenichino e 52 busti d’argento, siamo nella Real Cappella del Tesoro, all’interno del Duomo di Napoli, ma se per un attimo provassimo ad astrarci dal luogo in cui ci troviamo e lasciassimo correre la fantasia potremmo immaginare, ascoltando questa nenia, di trovarci sulle antiche “rampe del Petraio” che dalla collina del Vomero portano sino a Chiaia, al mare di Napoli. Potremmo pensare di sentire il rumore della biancheria profumata sbattuta dal vento e messa lì, ad asciugare al sole, mentre le lavandaie intonano le villanelle. Oppure potremmo immaginare di essere in uno dei quartieri più popolari di Napoli, la Sanità, quando tutto lo spazio antistante il palazzo dello “spagnuolo”, disegnata nel ‘700 dall’architetto Luigi San Felice diventa, soprattutto la vigilia di Natale, uno dei mercati più colorati e ricchi della città partenopea, ispirando i grandi artigiani del presepe napoletano del ‘600 e del ‘700.
In queste voci che ascoltiamo all’interno della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, una delle più straordinarie testimonianze del barocco, sono racchiusi millenni della grande civiltà napoletana. Sono i cori delle “parenti” di San Gennaro ed attendono il miracolo del patrono di Napoli: lo scioglimento del sangue.
A maggio ed a settembre, nei giorni del miracolo, siedono in chiesa in prima fila, possono parlare al busto di San Gennaro, gli rivolgono esortazioni a non tardare nel fare il miracolo, frasi tenere che Matilde Serao definì "vezzeggiativi scJesce e....facci grazia.
Maria Teresa d’Austria: la regina dal temperamento di ghiaccio
Distaccata e austera, la regina Maria Teresa D’Austria aveva poco del calore e della cordialità tanto apprezzati nel Sud. Figlia dell’arciduca Carlo d’Asburgo-Teschen e di Enrichetta di Nassau Weilburg, Maria Teresa fu la seconda moglie di Ferdinando II di Borbone. Nonostante le personalità molto diverse, solare quella di Ferdinando, riservata quella di Maria Teresa, i due ebbero un matrimonio sereno.
La regina fu lontana dalla vita politica, preferendo stare in disparte ad accudire i dieci figli avuti da Ferdinando II. Quando, tuttavia, bisognava prendere una posizione, non c’erano dubbi: Maria Teresa prediligeva la linea assolutista, spingendo in quella direzione anche il marito e, alla sua morte, il figliastro Francesco II. Su quest’ultimo la sovrana ebbe sempre una grande influenza. Nonostante le proteste della moglie, la liberale Maria Sofia di Baviera, Francesco fu spesso compiacente verso la matrigna, per la quale nutriva un rispetto misto a soggezione.
La linea dura di Maria Teresa la rese sgradita ai napoletani, tanto da farle guadagnare l’appellativo di “regina che non sorride mai”. Lei stessa amava poco la città, preferendo vivere a Caserta o a Gaeta. Non che fossero mancati i tentativi di ingraziarsi il popolo partenopeo. Celebre fu la donazione di un superbo ostensorio a San Gennaro in occasione delle sue nozze, nel 1837. La realizzazione di questo capolavoro, oggi custodito presso il Museo del Tesoro di San Gennaro, fu affidata a uno dei più apprezzati orafi di Napoli, Gaspare de Angelis, che usò per la composizione un
gran numero di pietre preziose.
Di San Gennaro portava il nome anche l’ultimogenito della regina, tragicamente scomparso a Roma, in seguito a un’epidemia di colera scoppiata nel 1866. La regina accudì amorevolmente il figlio e alla fine ne fu contagiata. Ad assisterla negli ultimi giorni della sua vita fu Francesco II, il quale, nonostante i conflitti che ci furono a corte, pianse con dolore la scomparsa della matrigna, che avvenne l’anno successivo, nel 1867.
Anna Baldini
L’ ostensorio di Gioacchino Murat
Ridateci la Gioconda è un tormentone che lascia il tempo che trova ma si fonda su una verità: la famiglia Bonaparte amava l’arte e amava prenderla per sé, ovunque la trovasse. Eppure, davanti a Napoli e a san Gennaro, persino i Bonaparte fecero un passo indietro perché, si sa, con i napoletani e il loro patrono non si scherza.
Napoleone in persona consigliò al cognato Gioacchino Murat, appena nominato re di Napoli, di mostrarsi rispettoso verso la devozione della città. Decise perciò di donare, nel 1808, uno dei pezzi più preziosi del Tesoro di San Gennaro: l’ostensorio in argento dorato in cui due angeli sostengono la raggiera decorata da una teoria di cherubini e nuvole, su cui sono incastonati rubini a formare grappoli d’uva. E non fu il solo gesto di devozione di Murat che, tra i decreti del suo regno, stabilì che la cappella del Tesoro all’interno del Duomo fosse di competenza assoluta della Deputazione. Istituzione che, ancora oggi, ne garantisce la preservazione e la fruizione al pubblico.
Alla caduta di Murat, salì sul trono Ferdinando IV e ordinò che la Deputazione vendesse l’ostensorio. Ma la direttiva non fu mai eseguita perché, si sa, con i Napoletani e San Gennaro non si scherza.
Marianna Crasto
La pisside donata da Umberto II
A seguito delle maldicenze che, dal giorno del loro matrimonio, continuavano a minare la stabilità familiare il principe Umberto II di Savoia e la principessa del Belgio Maria Josè, sua consorte, consigliati anche dal re Vittorio Emanuele, decisero di lasciare la corte piemontese e di trasferirsi a Napoli e di stabilirsi a Palazzo Reale. L’arrivo dei giovani principi, avvenuto il 4 novembre 1931, fu suggellato da un simbolico saluto alla Città dal Duomo. Il giorno successivo, nuovamente accolti dalla popolazione in festa, Umberto II e Maria Josè si recarono in visita alla Cappella del Tesoro di San Gennaro. In tale occasione donarono la pisside in oro, corallo e malachite, commissionata appositamente alla famiglia Ascione di Torre del Greco, detentori del Brevetto di Casa Reale e fornitori di Casa Savoia, testimonianza eccellente della lavorazione del corallo nella cittadina campana, capitale indiscussa del corallo, e della grande abilità degli artigiani di scuola napoletana. La pisside è un bellissimo esempio non solo di lavorazione orafa; in essa, gli elementi formali e cromatici sono in perfetta armonia.
San Gennaro a Montecassino
Come fu salvato il Tesoro nella Seconda guerra mondiale.
Un principe, un abate, un monaco e un "re di Poggioreale": la loro abilità consente di ammirare ancora oggi, a Napoli, i principali capolavori orafi di uno dei Tesori più ricchi al mondo. Questo libro ricostruisce la rocambolesca storia di tre piccole casse che nascondevano la meravigliosa collana, la preziosissima mitra (con oltre tremila diamanti, rubini e smeraldi) e vari calici dorati e gemmati del Tesoro di San Gennaro. E una storia che si intreccia con la "battaglia di Cassino", una delle più lunghe della Seconda guerra mondiale, caratterizzata dal bombardamento aereo dell'abbazia di Montecassino (15 febbraio 1944): un "tragico errore" degli Alleati anglo-americani, con responsabilità anche dei tedeschi. Perché quelle tre casse, a maggio '43, furono portate in quell'antico monastero benedettino? Come riuscirono, i monaci, a nasconderle ai tedeschi tra pergamene, codici miniati e reliquie e a farle arrivare a Roma - a ottobre di quello stesso anno - proprio con un loro camion? Perché il Papa, Pio XII, inizialmente non le voleva in Vaticano? Perché, infine, per riportarle a Napoli, nel 1947, si fece ricorso alla scorta di un "guappo" autoproclamatosi "re di Poggioreale"?